Winnicott e la Musicoterapia: la regolazione reciproca nel gioco condiviso

Winnicott e la Musicoterapia: la regolazione reciproca nel gioco condiviso

Il pensiero di Donald Winnicot (1896-1971) si sposa molto bene con i principi intersoggettivi che fanno della musicoterapia una disciplina efficace nel condurre ad un processo di cambiamento nella relazione con sè stessi e con l’altro. Lo scambio che si attua in musicoterapia tra il terapeuta e il suo assistito, giocando emotivamente in una reciprocità condivisa, crea un sistema integrato di regolazione reciproca che ha un parallelo con la struttura relazionale formata dalla madre e il suo bambino: perché il bambino sviluppi in armonia la sua identità e i suoi processi mentali è necessario che la madre sia capace di adattarsi al meglio ai suoi bisogni.

Nella musica ritroviamo le caratteristiche emotivo affettive che la configurano come quello spazio relazionale dove si possono mettere in atto i processi sviluppati dal pensiero di Winnicott descritti in questo articolo. Nel piccolo esempio che qui propongo, si possono individuare gli aspetti principali di una relazione sonoro musicale che ripercorrono i contenuti principali della sua teoria.

La ragazza che non riesce ad esprimersi a parole suona il tamburo. Suona con un ritmo continuo ma diversificato e le dinamiche che mette in moto esplorano lo strumento con battiti forti o leggeri, veloci o lenti, rispecchiano il suo ritmo interno, così come spontaneamente lei lo proietta all’esterno. Mentre suona attende una risposta, fa delle piccole pause, nell’attesa che la sua comunicazione venga ricevuta e riconosciuta. Ogni suo battito è accolto e rispecchiato da un altro suono, quello del pianoforte, che ne ripropone l’intensità, la sequenza ritmica spazio temporale, la forma, la gestualità. Entra nelle variazioni delle sue proposte, nel suo tempo, dà loro un senso e lo riorganizza pian piano. Il tamburo permette un continuum spazio temporale dal suo mondo interno alla realtà esterna, attraverso l’espressione del proprio ritmo individuale regolare o irregolare, nella pluralità dei battiti che vengono proposti e restituiti e poi rielaborati. Ecco che il rispecchiamento sonoro-musicale aiuta la ragazza a costruire e ad orientare il suo gioco comunicativo che pian piano ricrea rielaborando il proprio mondo sonoro e con esso i propri processi mentali e la costruzione del Sé.

All’inizio della vita la madre è per il neonato l’ambiente non ancora separato da Sé, dove può fruire di quella continuità che si è spezzata dopo la nascita per recuperare almeno in parte le esperienze sensoriali fetali: la madre gli ripropone i vecchi ritmi fornendogli al contempo sensazioni nuove ma note, permettendogli di organizzare un senso mentale di totalità, tale da sostenere l’esperienza della frammentazione iniziale e tenere coese le parti del Sé. All’inizio esiste quindi la «continuità del continuare ad esistere»: la madre si mette in sintonia con i bisogni del bambino e ne fornisce la realizzazione. La madre entra nel senso del tempo del bambino, costituito dai ritmi fisici e psicologici di sonno-veglia, dalla fame, del respiro, del battito cardiaco, del bisogno di relazione con gli altri e del suo bisogno di isolamento.

Questa continuità nel tempo è data da particolari elementi dell’ambiente fisico quali l’oggetto o gli oggetti transizionali, costituendo un’area intermedia di gioco che organizza la maggior parte dell’esperienza del bambino e «che verrà mantenuta per tutta la vita nell’esperienza di arti, religione, vivere immaginativo e nel lavoro scientifico creativo». (Winnicott, 1971, pag.34)[1]. Mentre la realtà psichica interna ha sede all’interno dei confini dell’individuo e la realtà esterna è collocata al di fuori di questi confini, il gioco e l’esperienza culturale possono trovare una collocazione utilizzando il concetto di spazio potenziale tra madre e bambino.

La musica ripropone questa continuità nel tempo e nello spazio differenziandosi dal tempo creato dall’uomo inteso come «invenzione umana che nulla ha a che vedere con l’esperienza del neonato, poiché il tempo è altro da lui».[1]  La musica riconduce il bambino, il ragazzo o l’adulto alle proprie sorgenti, alle proprie radici, in un’esperienza soggettiva che rende possibile il recupero dello scorrere originario del tempo per poter “vagare liberamente in esso”. «La musica non è legata alla freccia del tempo, ma si sofferma lungo il cammino, arretra di qualche passo, balza in avanti e stabilisce l’andatura che essa richiede. Naturalmente tutto ciò è una sofisticata illusione, ma una illusione ben fondata, e che costantemente e irreprimibilmente risorge nella nostra esperienza della musica»[2].

Come non esiste uno spazio relazionale prima che due individui entrino in contatto, così questo spazio-tempo musicale non è un luogo fisico preesistente dove si incontrano i suoni: lo spazio dei suoni si incontra nei suoni: «La profondità nello spazio uditivo non si riferisce alla distanza tra il mio orecchio e il luogo nello spazio dove è prodotto un suono, né si riferisce allo spazio in cui incontro i suoni; si riferisce allo spazio che incontro nei suoni»[3].

Winnicott riferisce come fenomeni transizionali il repertorio di balbettii infantili, filastrocche, nenie e canzoncine che il bambino ripete mentre si prepara ad andare a dormire. Canzoncine e filastrocche presentano una struttura ripetitiva spesso a domanda e risposta, con una scansione ritmica sincrona e monotona. Il ritmo vi svolge un ruolo affettivo fondamentale nell’interazione madre-bambino, non tanto per la reciproca sincronizzazione ritmica, quanto per la coordinazione e corrispondenza agli scambi reciproci di questi ritmi.[4] Si vuole riflettere qui non sull’aspetto meccanico del ritmo, sulla simultaneità delle sequenze metriche, ma ne viene considerata la corrispondenza dell’interazione, il dialogo che si costituisce nella relazione sonoro musicale in cui il bambino porta nella sua voce la voce della madre, facendola propria in modo illusorio, udendola e riproducendola: le filastrocche e le canzoncine nella loro struttura ritmico melodica riempiono l’ambiente della presenza materna, rassicurano il bambino, lo acquietano e lo soddisfano con la melodia vocale e affettiva.

Come ogni fenomeno transizionale la musica costituisce un’area neutra di fiducia e affidabilità, dove il processo di accoglienza e restituzione pone le basi per una interazione che può creare le condizioni per uno sviluppo integrato del Sè. Nell’esperienza descritta sopra, la ragazza che non riesce a comunicare verbalmente può ora modulare la sua espressione vitale aggiungendo al tamburo altri strumenti ritmici e melodici, creare con essi un gioco condiviso, mettere in moto modalità diversificate di giocare con la musica e gli strumenti musicali, promuovendo l’espressione di sé nell’esplorazione dell’ambiente, sperimentando il contatto con la realtà esterna. Entrando nel suo spazio tempo reciprocamente condiviso e co-creato, il terapeuta  ha dapprima accolto e riconosciuto il suo processo, che è stato poi modulato e rimodulato assieme nella relazione in una corrispondenza coordinata degli scambi reciproci, permettendo quindi un dialogo fatto di continui richiami e rimandi nelle forme dell’imitazione, della ripetizione e delle variazioni musicali, di una continuità ritmica e melodica. In questo spazio relazionale di regolazione reciproca collocato nella musica la ragazza ha trovato la sua modalità immediata ed autentica che l’ha aiutata a vivere lo scambio comunicativo nella spontaneità del proprio sentire e delle proprie emozioni.

Questa terza area tra bambino e madre, tra individuo, società o mondo, è il risultato delle esperienze individuali nel proprio ambiente di vita, varia da persona a persona e dipende dall’esperienza che porta alla fiducia. Al contrario, lo sfruttamento di quest’area porta ad una condizione patologica. «Laddove ci sono fiducia e affidabilità si colloca lo spazio potenziale, lo spazio che può diventare un’area di separazione senza limiti, che il neonato, il bambino, l’adolescente o l’adulto possono creativamente riempire con il gioco che, nel tempo, diviene godimento del patrimonio culturale». (Winnicott, 1971, pag. 178)

Winnicott stesso invita i terapeuti a dare spazio alla capacità di giocare, vale a dire al loro essere creativi nella propria professione e lascia lo spazio, nel setting terapeutico, all’espressioni di pensieri e sensazioni che possono anche non essere correlati e il cui significato non necessariamente deve essere comunicato: «La psicoterapia ha a che fare con due persone che giocano assieme e si colloca nella sovrapposizione di due aree di gioco, quella del paziente e quella del terapeuta. Il lavoro del terapeuta ha lo scopo di portare il paziente da una posizione in cui non sa giocare a una condizione in cui è capace di farlo. Al paziente sul lettino o al paziente bambino seduto per terra in mezzo ai giocattoli, deve essere consentito comunicare una serie di idee, pensieri impulsi, sensazioni che non sono collegati se non in qualche modalità neurologica o fisiologica, e forse al di là di quello che si può rilevare». (Winnicott, 1971, pag. 70)

La musica non ha un significato espresso, manifesta il non detto, è preesistente al linguaggio e in quanto non verbale canalizza simboli, sentimenti, significati e significanti del vissuto di ciascuno. Il gioco degli scambi musicali esperito in un setting musicoterapico si avvale di modalità non necessariamente correlate ed organizzate, che appartengono alla profondità dell’essere umano, alle sue contraddizioni e tensioni che a volte chiedono solo di essere accolte e ascoltate.

Marzia Da Rold

Tratto dalla mia tesi di laurea: La natura musicale degli scambi comunicativi – Intersoggettività tra psicologia e musicoterapia

 

1. D. WINNICOTT, Gioco e realtà, Armando Editore, 2019

[1] T. OGDEN, Holding e contenimento, Essere e sognare, – In «L’Annata Psicoanalitica Internazionale, Int: 2», 2006, pp. 153-169. La madre all’inizio della vita salvaguardia la continuità dell’essere del bambino, in parte isolandolo dall’aspetto “non me” del tempo
[2] R. SCRUTON, The Aesthetic Understanding, Methuen, London & New York, 1983
[3] V. ZUCKERKANDL, Sound and symbol: music and the exterbal world, Princeton University Press, Princeton N.J.,1969
[4] E. DISSANAYAKE, Antecedents of the Temporal Arts, In «Early mother-infant interactions», 2000

 

 

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