Musicoterapia in un caso di sindrome di tourette – dal ritmo rigido e ostinato alla ricerca di suoni fluidi e liberi in un percorso di consapevolezza

Presento il percorso in Musicoterapia con Samuele (nome di fantasia in ottemperanza alla leggi sulla privacy), 13 anni, con SINDROME DI TOURETTE.

Ho scelto di esporre questo lavoro per la peculiarità del percorso, la sua complessità, la sua evoluzione e maturazione, e perché nell’ambito della Musicoterapia non ho trovato casi che riguardassero questo disturbo. Ero interessata quindi a un confronto e ad uno scambio con i colleghi. Samuele arriva da me in seguito al desiderio della famiglia di aiutare il bambino a placare i suoi tic e a regolare lo stato di agitazione che lo accompagnava.

Ha iniziato il percorso in Musicoterapia nel mese di settembre 2019. Le sessioni si svolgono presso il mio studio privato a cadenza settimanale per la durata di 1 ora circa ciascuna.

Samuele è un ragazzino molto sensibile, attento e partecipe alle sofferenze e alle emozioni degli altri. Si relaziona da subito con me senza difficoltà in modo confidenziale e piacevole. È comunicativo, propositivo e ha spesso il desiderio di parlare di sé e della sua vita. È creativo e capace di ideare continuamente esperienze nuove adattandole ai suoi vissuti. Appassionato di macchine e motori, si identifica in dinamiche di velocità, forza, potenza, che rispecchiano il suo bisogno di movimento continuo. A causa delle sue problematiche manifesta tensione fisica e psicologica che si rifletterà poi anche a livello sonoro musicale e presenta alcune difficoltà nei compiti che richiedono attenzione e concentrazione prolungata. A volte manifesta dei tic molto complessi che aumentano nei momenti di stress. Ha alcuni pensieri ossessivi ricorrenti.

GLI INIZI

Nel primo periodo del percorso ho cercato di ascoltare e comprendere il suo vissuto musicale, i suoi bisogni, le sue modalità di stare nel tempo e nello spazio della Musicoterapia. Non è stato né semplice né immediato individuare le strategie migliori per impostare un percorso efficace e adattato a lui. Pensavo, ad esempio, che per migliorare i livelli di concentrazione e di attenzione fossero funzionali esperienze strutturate, proporre alcune attività ritmiche, scambi musicali organizzati: dare un ritmo al suo ritmo, continuità e regolarità all’esperienza, aiutarlo nel controllo e nella programmazione del movimento in modo continuativo, per un tempo definito e secondo dinamiche specifiche, realizzando tempi e moduli di esecuzione con l’utilizzo di semplici strumenti ritmici.

Mi sono quasi subito resa conto però che queste attività gli comportavano stanchezza e una forma di piccolo stress, perché Samuele faceva fatica a stare nel ritmo, a prolungare l’esperienza, e chiedeva naturalmente di passare ad altre attività più liberatorie.

Samuele è un ragazzino nel passaggio tra l’infanzia e l’adolescenza, con il proprio temperamento, le proprie inclinazioni, con un proprio mondo che vuole farmi conoscere, quindi era importante che la sua esperienza in Musicoterapia fosse certamente funzionale alle sue difficoltà ma che rispettasse il suo sentire e si adattasse alle sue esigenze emotive e ai suoi vissuti. Doveva essere un’esperienza efficace e piacevole, condizionata dallo stare bene nel contesto delle proposte, caratterizzata dalla flessibilità nell’entrare in risonanza con la persona.

Ho impostato quindi il percorso organizzando lo spazio e il tempo dell’incontro in modo da accogliere pienamente le sue modalità di stare e di esprimere il suo essere musica: essere in ascolto per modulare e rimodulare lo spazio e il tempo, stare nel divenire continuo dell’esperienza.  Seguo i principi di una relazione terapeutica che si crea insieme per fare un viaggio condiviso legato al momento presente, un processo di reciprocità e condivisione caratterizzata dalla circolarità, che si rivela strada facendo e che si dispiega un passo dopo l’altro. Cerco perciò di mettere in atto un contesto in cui possano emergere nuove modalità, sentimenti, pensieri, comportamenti che poi posso sviluppare, facendo diretta esperienza dell’altro.

 Il capire “cosa fare” si è così rivelato durante un percorso che non è stato privo di domande e dubbi, ma che si è affidato all’inaspettato dell’esperienza nel suo manifestarsi, a una prospettiva che pone al centro la pregnanza del momento vissuto come fonte di cambiamento e a una fiducia totale nella musica.

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Le sessioni sono spesso molto diverse l’una dall’altra anche se si strutturano attraverso un modello di base che si è via via stabilizzato.

Samuele ormai conosce lo spazio, gli strumenti e tutto ciò che è presente nello studio e può scegliere come organizzare gli elementi. Ecco che così si rivela pian piano la struttura/non-struttura del setting che il ragazzo crea e a cui mi invita a partecipare. Io entro nel suo setting e insieme a lui lo vivo e lo condivido sperimentandolo e cerco svilupparlo attraverso le mie proposte, perché ciò che emerge sia funzionale al cambiamento.

All’inizio della sessione Samuele crea e organizza il suo setting, per lo più un gioco con i pupazzi e/o alcuni strumenti musicali ritmici che non sono utilizzati in quanto tali ma come mezzo per il gioco. Il gioco è la sua costante e vi stabilisce i suoi attori che sono sia i pupazzi che gli strumenti. Protagonista di questo gioco è la lotta in cui vince chi sconfigge l’altro, in una dinamica che ricalca il meccanismo dei videogiochi. Pone le sue regole e io mi inserisco giocando con lui, cercando di entrare in tutto il suo svolgimento, partecipando all’esperienza che prende vita. Ha sempre in mano un battente che agita ininterrottamente, dando vita ad un movimento interno continuo che esterna in un persistente movimento ritmico.

In un secondo momento lascio che continui il gioco in modo autonomo e vado al pianoforte per accompagnarlo in questo spazio che si sviluppa ulteriormente; mentre suono mi chiede di eseguire Coffin Dance, una musica che ripete sempre se stessa e che gli conferisce il ritmo giusto per il suo gioco dinamico.

Aggiunge poi il grande tamburo con cui vuole fare “tanto rumore”: vi riproduce il motore di auto potenti. È per lui una possibilità per liberare tensione ed energia in modalità che riflettono movimento, forza, affermazione di sé e che si traduce in suoni forti, continui, martellanti, espressi in modalità rigide e ostinate.

Lascio a Samuele uno spazio dedicato a questo, un momento tutto suo in cui può dare voce al proprio ritmo interno, al proprio bisogno di raccontarsi, viversi, esprimersi senza mediazioni. Io continuo ad accompagnarlo al pianoforte, a sostenerlo in questo suo viversi ed essere musica. A volte, dopo aver suonato in questo modo dice di essere scarico.

Segue il momento dell’interazione musicale con me, una via di ascolto, scambio, reciprocità. Introduciamo altri strumenti melodici e ritmici, xilofoni e altri tamburi. In queste prime fasi del percorso in Musicoterapia, Samuele fa fatica ad entrare nelle dinamiche dell’interazione: sembra infatti in ascolto delle sue fantasie interne, dei suoi pensieri, e la relazione dialogica musicale-sonora non si sviluppa. Ho dovuto trovare alcune strategie per percorrere la strada della relazione e sono stata facilitata dal fatto che il ragazzo ha cominciato a creare alcune storie musicali trasferendo su di me i suoi vissuti. I contenuti di questi racconti riflettono dinamiche familiari e personali, il sentirsi arrabbiato, il bisogno di andare veloce e di essere forte e potente.

Un’altra modalità molto utilizzata è stato il gioco che lui chiama M2. Inventa storie su alcuni suoi ipotetici amici che hanno macchine grandi e sono ricchi. Mentre il racconto si sviluppa a domanda e risposta, noi suoniamo. Come accade con il tamburo si approccia di frequente anche agli altri strumenti in modo forte, ripetitivo, martellante e continuativo, una caratteristica dominante del suo essere musica.

 Negli ultimi mesi del primo anno di percorso, le sue modalità di stare, sentire, ascoltarsi e ascoltare iniziano a cambiare in relazione ad alcuni strumenti musicali quali la chitarra e la cetra o più alternativi come i gong, le campane tibetane e alcuni strumenti naturali, che esplora nelle sonorità e vuole conoscere in modo più approfondito. In questo contesto trova spazio una possibilità di trasformazione: le sue modalità rigide riescono ad attenuarsi, diventano più fluide, i suoni si rivelano più calmi, melodici e Samuele afferma di sentirsi più tranquillo e rilassato.

Dice: “la musica mi fa pensare meglio”: rallenta gli aspetti della dispersione, della distrazione, aumentano calma e attenzione.

Mi comunica di stare bene nel contesto della Musicoterapia e di sentirsi meno agitato: “Questo è un posto dove non so che ore sono: perdo il senso del tempo”.

Comincia anche a farsi domande sul significato del percorso, si chiede se venire a Musicoterapia è necessario per fargli passare i tic, vorrebbe provare a smettere per capire se ce la può fare da solo. Mi chiede cosa faccio in generale per far star bene le persone attraverso la musica.

A conclusione della sessione a volte fa dei disegni che rappresentano il nostro percorso, oppure disegna automobili o marche di automobili.

I tic, presenti in modo significativo all’inizio della sessione, scompaiono quasi del tutto verso la fine dell’incontro.

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IL PERCORSO CRESCE E SI EVOLVE

Dai primi mesi del 2021 il percorso si è evoluto in modo significativo, in particolare per quanto riguarda l’ascolto, l’espressività, la crescita della consapevolezza. Rimane lo spazio iniziale libero di espressione spontanea, si mantengono e si evolvono le interazioni musicali e, aspetto di grande rilevanza, diventa significativo il pianoforte quale strumento di espressione, veicolo di sentimenti, emozioni, vissuti.

Ora, appena entra, desidera parlare di argomenti di suo interesse, spesso di macchine e motori, oppure di attualità o su vari aspetti della vita. Fluisce pian piano nel suono, dove, come nella prima fase del percorso, trova il suo spazio creativo di distensione ed espressione spontanea. È libero di improvvisare, a volte sceglie ancora i pupazzi, ma spesso si distende e rilassa oppure crea giochi musicali con strumenti, con una palla, o altri elementi presenti in studio. Io, come di consueto, condivido questa esperienza, lo accompagno al pianoforte oppure gioco con lui. Ha sempre la necessità di avere in mano il battente che agita ininterrottamente esternando un persistente movimento ritmico, ma poco alla volta questo bisogno non si presenta più.

Il grande Tamburo rimane sempre una costante, una possibilità per smuovere e liberare energia psichica attraverso il movimento ritmico corporeo. Il suono ritmico dello strumento è sempre prodotto con forte intensità, in modo martellante, ostinato, e in questa fase lo accompagno e lo supporto al pianoforte, ricalco e cerco di modulare. È una caratteristica che rimane costante in ogni sessione, un momento di cui ha bisogno per realizzare quasi, nel battito e nel suono prodotto, un processo catartico.

Il pianoforte

Si è rivelata sempre più interessante e funzionale l’espressione al pianoforte, frutto di un processo   che ha avvicinato Samuele alla possibilità di contattarsi, ascoltarsi e comunicare, approfondire un’altra possibile modalità di avvicinarsi ai suoni, più orientata alla percezione e all’ascolto di sé.

Ho iniziato a proporgli il pianoforte poiché avrebbe potuto trasformare alcune dinamiche musicali e modulare le sue possibilità espressive: è uno strumento che offre molte possibilità ritmiche, melodiche, può spaziare nelle note, ricercare timbriche e variare nelle sonorità. All’inizio mi dice che non è capace, lo percepisce come uno strumento che solo i professionisti possono suonare, irraggiungibile. Lo invito a provarci assieme a me e Samuele si cimenta in alcuni giochi con le mani lungo la tastiera creando delle piccole storie. Io accolgo e partecipo al suo gioco. Pian piano prende familiarità con lo strumento e decide che può provare a suonare da solo. Mi chiede però di mettermi in una zona dello studio dove io non lo possa vedere e mi metto quindi seduta in un angolo dietro al pianoforte, nascosta alla sua vista.

Al pianoforte i suoni e la musica si esprimono in modalità spontanea e intuitiva senza una struttura definita. Mi chiede di ascoltare la sua musica ad occhi chiusi per non guardarlo mentre suona (anche se non lo posso vedere), e alla fine delle sue esecuzioni mi invita ad esprimere le mie sensazioni, cosa immagino attraverso la musica da lui suonata. Nel corso del tempo ne sono nati scambi e discussioni sempre più approfondite su ciò che la musica può rappresentare, abbiamo parlato del significato delle emozioni e di come possono essere rappresentate nella musica.

Nelle sue prime esperienze, le sue espressioni musicali al pianoforte erano molto brevi e Samuele diceva di suonare “a caso”, affermando di non sapere come si sente mentre suona. La durata delle sue esecuzioni poi si fa più lunga e sempre più articolata, il tempo dedicato prende più spazio e arriva a suonare due brani, a volte tre, che crea in modo variegato.

Samuele è sempre più capace di comunicare al pianoforte, sviluppando le modalità ritmiche e timbriche, l’esplorazione e la ricerca dell’insieme musicale. Ricerca ed esplora i suoni, li modula variandoli, diventano allineati, centrati, calmi, rispecchiano una varietà di situazioni. La sua musica può ricordare Bach nella simmetria, a volte Debussy nella ricerca di colori ed atmosfere quasi impressionistiche, anche quando vengono rappresentate situazione più forti e dure. In tempi più recenti compone con maggiore dolcezza e con inserti melodici molto belli. Samuele è fisicamente centrato, perfettamente in asse e concentrato per tutta la durata delle sue esecuzioni.

Pian piano accetta che io non sia più nascosta alla sua vista, ma mi chiede di chiudere gli occhi mentre suona.

Progressivamente afferma di suonare rispecchiando situazioni, emozioni e stati d’animo: rappresenta spesso il contrasto di forze, il bene e il male, la paura e la gioia, i limiti e le possibilità della vita. Nelle sue rappresentazioni mette le sue esperienze di vita, considerazioni, ma anche fatti di cronaca. È così emersa, sessione dopo sessione, la sua consapevolezza, il suo desiderio di approfondire la conoscenza delle dinamiche delle emozioni sia nella produzione che nella fruizione musicale, e contemporaneamente i suoi momenti musicali pianistici cominciavano a prendere più spazio, aumentandone la durata e generando risonanze sempre più arricchite. In particolare riesce ora a comunicare il proprio mondo interiore attraverso i suoni utilizzando il linguaggio musicale in modo dinamico e articolato nelle modalità e nella ricerca dei timbri, dei ritmi e delle sonorità, della combinazione delle note e nei significati legati a quello stesso linguaggio utilizzato.

Dopo aver suonato il pianoforte i tic scompaiono completamente.

 Esempio 1.

Maggio 2022 – Per la prima volta afferma di aver suonato rappresentando emozioni e situazioni.

– 1° esecuzione: Suona i tasti a balzi su e giù attraversando tutta la tastiera. Io immagino palline bianche e azzurre che rotolano, lui dice che ha percorso la tastiera con le note come per incontrare alcuni amici, fino ad arrivare a 20 amici. Poi gli amici scompaiono e anche lui va via.

– 2° esecuzione: Suona note staccate con varie timbriche e colori sonori. Io “vedo” elementi geometrici che salgono e scendono. Lui ha raffigurato i momenti positivi e negativi della vita. I momenti negativi sono i tasti neri suonati una volta; se vengono suonati due volte sono i momenti negativi da cui si trae un insegnamento che li trasforma in positivi: “ad esempio oggi la mamma mi ha sgridato e io ho imparato qualcosa”. I tasti bianchi sono i momenti positivi della vita e le belle giornate.

Esempio 2.

Le prime due esecuzioni sono formate da suoni forti e martellanti, ma nella seconda sembra acquietarsi, diventare più calmo, conservando sempre una tensione interna per finire poi ad insistere su un unico suono. La terza esecuzione è fatta da soli suoni martellanti forti su 1-2 note con la mano destra, mentre con la sinistra cerca di variare note e sonorità. Samuele dice che ha voluto rappresentare una paura che ha sempre in testa e che “se anche cerchi di trovare altri pensieri per cancellarla, questa rimane, pensi solo a lei perché attira tutta la tua attenzione”. Con la mano sinistra cercava di cambiare la situazione, senza però riuscirci.  Io vi vedo la ricerca della pace dopo la violenza, anche se rimane l’inquietudine interiore, per poi insistere ancora su qualcosa che ossessiona.

Esempio 3.

1° esecuzione – Rappresenta il bene e il male in forme di contrasto tra suoni: vince il bene, il male muore.  Collega bene e male ad esperienze della sua vita o a fatti di attualità (ad esempio il bene al luna park, il male alla mafia)

2° esecuzione – “Da bambini abbiamo dei desideri che però i genitori non soddisfano perché dicono di no”: Anche in questo caso ha suonato a contrasti. La mia impressione è fatta di suoni di tonalità scura. Nel suo feedback mi dice allora che la sua musica mi ha fatto immaginare cose negative. È l’occasione per parlare dei colori associati alle emozioni, di come le emozioni colorano la vita, comprendendo così che un colore scuro non è per forza associato alla negatività.

Nuovi setting per nuove interazioni

Le interazioni musicali si evolvono, lo spazio si modula e rimodula continuamente, come sempre, ma è evidente il passaggio da un musicale caotico, rumoroso e martellante ad uno stare più armonico e regolato dall’ascolto di sé e dell’altro nel suono e attraverso il suono. Gli strumenti che vengono introdotti sono sempre molto variegati: dai più vari e conosciuti strumenti ritmici e melodici all’Ocean Drum, il bastone della pioggia, campane tibetane, gong, i suoni naturali. Di frequente i setting sono creati in funzione di un’idea o di una domanda di base che lo porta a costruire un ordine sonoro-musicale, comporre insiemi strumentali per verificare come i suoni agiscono e re-agiscono tra di loro in una sorta di realizzazione sperimentale per ricercarne le leggi di causa-effetto. Ecco che risponde ai quesiti riguardanti la vibrazione, la risonanza o i decibel.

Ad esempio pone una campana tibetana davanti al tamburo grande per vedere se colpendo il tamburo risuona anche la campana. Oppure viene posta una pallina sopra un tamburo per capire se il suono del tamburo può farla muovere. Questi insiemi strumentali poi vengono suonati e risuonati con le più varie composizioni strumentali dove risuoniamo assieme in modo fluido e ritmicamente assieme.

L’evoluzione più recente a questo riguardo lo porta verso la piena interazione con me nella relazione sonoro-musicale. Samuele si autoregola attraverso il mio suono, entra nel suono e nella musica, ricerca e adatta ritmi e dinamiche sintonizzate. Non sono più le sue fantasie interne a dominare, i suoi pensieri ossessivi, ma è l’esperienza della reciprocità nel suo evolversi che rimodella il suo modo di stare nella situazione, in una partecipazione vitale affettiva e sincronizzata attraverso la risonanza condivisa.

È così possibile che anche il tamburo, da sempre veicolo di suoni di scarica ostinati, martellanti, rigidi e ripetitivi, trovi espressività rimodulate. Nascono lunghi dialoghi e rispecchiamenti in cui il tamburo stesso assume un altro ruolo e diventa strumento musicale che può incontrarsi con altri strumenti nella musica: si sperimentano varie modalità di suonare, alternative sonoro-musicali, arrivando a sonorità e dinamiche leggere, fluide, delicate sia al pianoforte che con gli altri strumenti.

 I vissuti e le emozioni

Samuele è un ragazzino che accanto ad elementi molto infantili (soprattutto nella prima parte del percorso) associa una grande saggezza: sensibilità verso chi soffre, compartecipazione al dolore del prossimo, domande sulla vita, sulla felicità. Samuele mi interpella spesso, mi fa domande sui miei stati emotivi, si chiede se sto bene o male, vuole conoscere i miei desideri e i miei sogni, le mie opinioni su alcune situazioni di suo interesse o su aspetti pratici del percorso in Musicoterapia. Io rispondo senza difficoltà, intendo partecipare pienamente alla relazione condivisa che si è stabilita, senza la paura di confondere i ruoli. Vivo tutto questo con stupore, con un senso di bellezza e un sorriso interno che mi nasce di fronte alla profondità di alcune sue considerazioni.

Ecco un semplice ma significativo esempio. In una sessione dello scorso anno mi chiede cosa farei se fossi un mago e lui mi dice cosa farebbe se a sua volta lo fosse: riportare in vita le persone care che non ci sono più e far star male i cattivi. Io gli dico che vorrei far stare bene gli altri. A questo punto considera logico che se mi piace la musica e voglio far star bene gli altri ho scelto di fare Musicoterapia! Subito dopo mi dice che ho le caratteristiche di Mago Merlino: sono sempre felice, non ho mai il broncio e non sono mai triste… e poi faccio le magie!

Parliamo di come i suoni possano anche fare male. Capisce che un po’ “soffro” quando picchia forte il grande tamburo: vede che reagisco istintivamente con il corpo quando, a sorpresa, colpisce con grandissima intensità lo strumento, comprende che ne sono un po’ scombussolata e mi dice che sono ASSORBISUONO. Considera poi che se io vado a suonare il pianoforte mentre lui continua con il tamburo è perché “se suoni il pianoforte riduci l’impatto del tamburo, perché a te il pianoforte piace!”

Samuele riconosce il mio ruolo in questo contesto e me lo dice chiaramente, riconosce il beneficio che riceve nello stare in questa situazione e con me è aperto e naturale. Questa relazione che si è creata e rivelata efficace mi rende ancora più consapevole del mio compito, lo rinforza e lo conferma.

Essere testimone del processo di trasformazione, assistere ai benefici mediati dal percorso in Musicoterapia, constatare che i tic scompaiono, che lui è più sereno e libero dalla tensione e che riesce ad essere in contatto con le sue emozioni, è una spinta motivazionale, una ricchezza percepita che non riguarda solo questo specifico caso, ma è una ulteriore conferma dell’efficacia della Musicoterapia.

 Attraverso la Musicoterapia Samuele ha potuto dare voce al suo mondo interiore e alle sue emozioni in un processo di liberazione di alcune tensioni interne, trasferendo i suoi vissuti nella forma del linguaggio musicale mediante:

  • La scarica ritmica energetica
  • La narrazione di sé
  • La consapevolezza dei processi

Il percorso ha avuto luogo in un contesto caratterizzato dalla creazione condivisa dell’esperienza musicoterapica, dalla sua circolarità e dal suo dispiegarsi momento per momento, sessione dopo sessione, nella reciprocità vissuta di pensieri, sentimenti ed emozioni che prendevano vita nello spazio e nel tempo degli incontri.

“Una volta ero molto più agitato e non riuscivo a fare le cose, adesso invece sono molto più calmo e posso fare molte più cose”

 

Marzia Da Rold

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